PABLITO

E’ una morsa che stritola l’anima e strazia il cuore. Con tutti i problemi che ho farmi venire il magone per un calciatore potrebbe sembrare illogico ed anche insulso. Ma Rossi come Maradona, come ho gia detto, per me rappresentano il periodo della mia vita in cui bambino correvo per i prati della Martorera e calciavo per ore ed ore il pallone tra due piante di noce o due fruscù rubati alla nonna che facevano da pali con uno spago per le balle di fieno a fare la traversa.

Nel 1982 stavano costruendo la grande stalla a casa dei nonni, lo zio jacky e lo zio vale erano giovani, c’era una ditta di Mantova a fare gli impianti e ricordo nitidamente che fermarono i lavori perché c’era Italia Brasile . . . quel giorno nacque in me il mito di Paolo Rossi, nel modo più naturale, come è accaduto a milioni di tanti altri bambini italiani.

Quando sono cresciuto ed ho iniziato a “studiare” la storia del calcio con il mio amico Duke Volper abbiamo scoperto dell’impresa degli anni 70, quando il Lanerossi Vicenza del giovane Pablito aveva sfiorato da neopromossa il clamoroso scudetto.

Negli anni recenti ho goduto della sua leggerezza e della sua sconfinata ma pacata e serena passione per il grande football quando era l’ospite fisso nei salotti delle notti di Champions League su Sky.

Non c’è più Pablito, e io sto diventando vecchio, freno e provo a scendere, ma proprio non si può . . .

Eravamo 34 adesso non ci siamo più

e seduto in questo banco ci sei tu,

era l’anno dei mondiali quelli dell’86

Paolo Rossi era un ragazzo come noi

Sta crescendo, come il vento questa vita tua

sta crescendo, questa rabbia che ti porta via

sta crescendo ohhh come me

L’estate è nell’aria brindiamo alla maturità

l’Europa è lontana

 partiamo, viva la libertà

tu come stai ragazzo dell’86

 coraggio di quei giorni miei

coscienza, voglia e malattia di un canzone ancora mia,

ancora mia ye, ancora mia ye

Nasce qui da te, qui davanti a te, Giulio Cesare